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UNA SOLA FEDERAZIONE PER LE PICCOLE IMPRESE

Il presidente CNA Ivan Malavasi: la crisi continua a mietere vittime, il problema grave dei finanziamenti. «Abbiamo peso economico e occupazionale, se non accediamo al credito usciamo distrutti».

E se si unissero? «Dovremmo creare una grande federazione dei piccoli. Ci stiamo lavorando, è una bella sfida.
Il nostro mondo opera in un sistema integrato, non ha più ragione di essere diviso. La nostra rappresentanza può cambiare». Ivan Malavasi non aggiunge di più, ma l’idea che una parte della grande galassia delle pmi possa allearsi sotto un unico logo, ha un forte potenziale.
Le pmi, sigla che sta per piccole e medie imprese, messe tutte insieme fanno 4 milioni e 200mila, producono il 45% del valore aggiunto del Paese e danno lavoro a più di 11 milioni di persone. In particolare l’artigianato produce il 17%del Pil. La Confederazione Nazionale dell’artigianato (CNA), che Malavasi presiede, ha 250mila iscritti, più 30mila società di capitali. E come altre associazioni dei “piccoli” (per la Confapi vedere l’intervista pubblicata dall’Unità il 26 aprile), comincia ad essere un po’ stanca di sedere a tavoli dove la Confindustria fa la parte del leone. «Quello che mi infastidisce è che oggi tutti parlano di artigianato e piccole imprese senza avere, spesso, titoli e conoscenza.
È intollerabile», afferma Malavasi.
Partiamo degli incentivi del governo.
«Per il90%vanno alla grande impresa.
È lo strabismo della nostra politica economica. Ci si dimentica che il 98,7% delle imprese ha meno di 20 addetti. Con il risultato che con le risorse del Paese si finanzia l’1,3% delle imprese. Va anche detto che qualche passo verso il nostro mondo è stato fatto nella flessibilità del mercato del lavoro, con la bilateralità per il welfare, ci sono stati interventi sulla cassa integrazione. Ma la nostra sopravvivenza è legata all’accesso al credito».
È dall’autunno che lei denuncia questa difficoltà, non cambia nulla?
«C’è uno scontro violento tra le piccole imprese e il sistema bancario.
L’accesso al credito è peggiorato, più selezionato, ben oltre il decreto di Basilea. I Tremonti-Bond possono portare qualche beneficio, ma serve di più. Molte imprese rischiano grosso. Vale soprattutto per quegli imprenditori artigiani che tra il 2005 e il 2008 ci hanno creduto, hanno esportato, hanno innovato. Si sono esposti e ora si vedono negare i finanziamenti dalle banche. Il credito è prioritario, la pressione va allentata».
E i finanziamenti che passano per il Confidi?
«Di 1 miliardo e 600 milioni, solo 260 milioni sono disponibili. Chiediamo che una parte venga dedicata, riservata all’artigianato. Altrimenti il rischio è che arrivi la grande impresa, che ha bisogno di grandi finanziamenti, e prosciughi tutto.
Abbiamo peso economico e occupazionale, se non accediamo al credito usciamo distrutti».
Le conseguenze della crisi?
«Pesanti. Drammatiche in alcuni settori, penso ai distretti industriali.
Il tessile di Prato, ad esempio: dal 2000 si sono perse 800, 900 imprese, e 200 sono a rischio di chiusura oggi. Ci sono poi difficoltà in tutti i distretti che orbitano nella meccanica, a partire dall’auto. Gli effetti degli incentivi ancora non si vedono, i consumatori continuano ad avere paura… Soffrono il comparto del legno, l’edilizia…»
Il piano casa aiuterà?
«La misura è interessante ma aspettiamo i criteri, vedremo».
E i segnali di ripresa?
«Credo sia eccessivo affermare che siamo fuori dalla crisi. È rallentata la discesa nel precipizio, ma bando agli eccessi di ottimismo. I nostri dati, in linea con altri, dicono che il Paese chiuderà l’anno con un calo del Pil che oscilla tra -4,5 e -3,8%. Noi artigiani e piccoli imprenditori seguiremo questo trend. È inevitabile visto che siamo legati in filiere e distretti».


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